Barbagallo, tracce di un naufragio

di Rosario Pinto

Sarà inaugurata domani nello spazio di "MA-Movimento Aperto" un'installazione in cui Antonio Barbagallo sceglie di integrare il portato di ordine "concettuale" in una sorta di segmentazione "metarica".

Il tema è il "naufragio", un naufragio proposto attraverso l'ostensione del deposito dei suoi resti, i detriti che le onde accumulano sulla battigia, esemplati, nella riconfigurazione creativa dell'artista, in "due trittici, due legni-scultura ed un pannello dipinto con colori mordenti". Balza all'attenzione l'affondo segnico, con la materia che si produce in ordito contenutistico. Una materia, sommessamente soggiungiamo, mai presieduta dalla casualità inconsulta, ma rimodellata secondo una misura sottilmente prescrittiva, secondo un ordine che può definirsi addirittura di natura geometrica.

Come dire, insomma, che il "naufragio" non è mai totale e definitivo e che nel darsi del caos si annidano le scaturigini di una nuova disposizione ordinamentale.

Si affaccia una domanda: in qual misura l'artista, reinterpretando il dato storico e il dato di natura, tradisce entrambi, consegnandoci il proprio ritratto e, al tempo stesso, lo specchio in cui si riflette - solo che sappiamo guradar bene - la nostra stessa identità?

All'interrogativo, forse, può rispondere la storia stessa d'artista di Antonio Barbagallo, personalità di raffinatissima cultura e di sensibilità notevolissima. Altra volta, ad esempio, abbiamo sottolineato la preziosità del suo gesto espressivo, invocando addirittura - ed in profittevole allungamento nella prospettiva del tempo - le suggestioni esemplaristiche dell'età tardo gotica, come quelle che, in stagioni lontane, hanno già segnato il percorso di coniugazione di accenti espressivi e normativi, costituendosi in anticipazione storica di quelle consistenze creative cui la parte più suggestiva della temperie informale contemporanea - e qui viene di proposito Barbagallo - ci introduce ed accompagna.

da "Il Roma" del 21 marzo 2016

 

 

Barbagallo dipinge cronache di naufragi

di Tiziana Tricarico

Spiazzare l'attenzione dello spettatore: è questo il ruolo dell'artista secondo Antonio Barbagallo. Ed è ciò che accade in "Cronache da un naufragio", la sua personale di scena al MA-Movimento Aperto, la galleria di Ilia Tufano. La mostra, accompagnata da un testo di Mario Francesco Simeone, propone fino al 15 aprile quattro tavole a tecnica mista, un trittico e una "scultura", sintesi di una ricerca che l'artista napoletano sta portando avanti da tempo sul tema del naufragio inteso non solo come evento fisico e tragico dell'inabissarsi senza scampo, ma anche e soprattutto come condizione dello spirito e della mente. Ad accogliere i visitatori ecco i venti che insidiarono Ulisse durante il suo viaggio come raccontano i versi di Omero, anche lui in balia delle forze della natura. Continuando poi c'è un vero e proprio microcosmo che contiene neri flutti, un'irreale costellazione e un gruppo di naufraghi a ciascuno dei quali è data una propria identità grazie a stoffe multicolori dipinte con aniline. E sì perchè in questi lavori Barbagallo utilizza molto i legni spiaggiati, assecondandone la "naturale inclinazione": i più piccoli e "timidi"acquistano forza nella solidarietà di un equipaggio, quelli dalle forme più curiose sono inseriti in vere e e proprie bacheche naturalistiche mentre quelli grandi ed imponenti, liberati da sabbia e conchiglie, diventano sculture suscettibili di molteplici letture. Il mare dell'artista è cupo, minaccioso: raccontato in un trittico ("Il grande mare che avremmo traversato") dal richiamo classico, sembra voler travolgere tutto e tutti con la sua forza. Ad accomunare le opere l'intensa matericità derivata dall'utilizzo di impasti terrosi e pigmenti secondo tecniche sempre nuove.

 

Da"Il Mattino" del 29 marzo 2016

Cronache da un naufragio

di Annapaola Di Maio

Disperso tra impasti di colore, trascinato da venti omerici, l’inabissarsi dello spirito approda alle derive della logica, dove tutto ciò che rimane incontra il conforto riposante della terraferma. Seguendo le linee contorte dei legni spiaggiati, viaggiatori erranti dalla meta smarrita, si entra nel vivo della dimensione del naufragio, come interpretata da Antonio Barbagallo. La ricerca di queste "Cronache da un naufragio” dà il nome alla sua personale presso Movimento Aperto, la galleria di Ilia Tufano situata nel centro storico di Napoli, in via Duomo. L’esposizione, che presenta due trittici corredati da due legni-scultura e un dipinto con colori mordenti, traccia un’ulteriore evoluzione del lavoro dell’artista campano, attivo sin dagli anni Settanta con sperimentazioni di tipo materico informale e astratto. Gli impasti terrosi e i pigmenti segnano una costante indagine sul passato, su ciò che resta della memoria e della sua inevitabile situazione frammentaria che, in questo caso, si materializza nei nodosi e ritorti ritrovamenti donati dal mare. La stratificazione del colore ricrea le increspature nervose della tempesta, un turbine che culmina nella presenza incombente di un nero che non lascia scampo, profondità assoluta nel perdersi delle coscienze.  Sopravvivere al naufragio è un atto di coraggio e resistenza, il cui esito è totalmente demandato all’intervento del fato. Impossibile non leggerne i segni indelebili nell’incontro con i Piccoli naufraghi di legno, uniti a formare un equipaggio, a rimarcare come, nell’insieme delle forze, si possa trovare uno spiraglio di salvezza. Le differenti identità di ognuno sono assimilate negli stracci colorati in cui sono avvolti, legati stretti da uno spago. In quella corda sottile risiede il filo d’unione da cui scaturisce il seme della sopravvivenza. La mostra è la cronaca della perdita di rotta nell’incostante svolgersi dell’esistenza, sopraffatta dal mare nella sua potenza consolatrice, minacciosa, che è culla e sepolcro ma anche germinatrice di vita. Soltanto in quel legame profondo con il sé si riemerge. L’azione sospesa in quel Mare che avremmo traversato, titolo di alcune delle opere, demanda la scelta decisiva alle singole volontà legate nell’unione semantica del "noi”. Come ancora sottolinea Simeone: «Le parole richiamano legittimamente alla contemporaneità, i naufraghi assumono altre fattezze, descrivono eventi traumatici che solo l’uso simbolico può traslare in una dimensione narrativa e vitale. Il reale si reinventa nell’ipotesi di nuovi approdi»

 

Da www.exhibart.com

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